Un’utopia sospesa nel tempo
In provincia di Bergamo, a due passi dal Comune di Capriate San Gervasio, sorge la frazione di Crespi d’Adda, un villaggio operaio realizzato a partire dal 1878, che è cresciuto e si è sviluppato nel corso di quasi cinquant’anni, divenendo nel tempo un modello esemplare di villaggio industriale, tanto che nel 1995 l’Unesco lo inserisce nella lista del patrimonio mondiale protetto, come “esempio eccezionale del fenomeno dei villaggi operai, che vide la luce in Europa e nell’America del Nord tra il 19esimo e il 20esimo secolo, espressione della filosofia predominante tra gli industriali illuminati nei riguardi dei loro operai”.
La città nasce da un progetto unico, quello della famiglia Crespi, che scelse quest’area nei pressi del fiume per costruire un opificio, e a cui diede il suo nome Cristoforo Benigno Crespi, imprenditore di Busto Arsizio, con la costruzione del Villaggio mise in pratica il suo sogno Illuminista di realizzare una comunità ideale, che coniugasse i bisogni della classe operaia con le necessità della produzione.
L’esigenza era legata al fatto di non obbligare la gente a spostarsi per andare in fabbrica ma di creare una comunità che ruotasse intorno ad essa, con tuti i relativi benefici in termini di produttività e di qualità della vita.
Alla fine del diciannovesimo secolo, quando ancora gran parte del territorio italiano necessitava di grandi opere di bonifica, anche solo per essere considerato abitabile, la lungimiranza di Benigno Crespi diede vita ad una vera e propria città del futuro, dove gli abitanti potevano godere di servizi che in larga misura non erano ancora nemmeno ipotizzabili nel resto del territorio nazionale.
Ospedale, Scuola, Centro Sportivo, Teatro, Piscina, sono solo alcuni dei servizi che il Villaggio Operaio di Crespi d’Adda metteva a disposizione dei propri abitanti, alcuni dei quali addirittura impensabili a quell’epoca.
Nel giro di pochi anni, la conduzione della fabbrica passò nelle mani di Silvio Benigno Crespi, figlio di Cristoforo, che perpetrò il progetto filantropico del padre ampliando e migliorando la produzione e si fece portavoce, come Onorevole della Repubblica Italiana, di una serie di proposte di legge legate alla riduzione dell’orario di lavoro, all’innalzamento dell’età minima per l’ingresso al lavoro dei bambini e alcune importanti norme tecniche per la sicurezza sul lavoro.
Nonostante tutto ciò, a partire dal 1930, per svariati motivi la fabbrica intraprese un lento declino, fino alla crisi del 1970, che culminò con la chiusura definitiva dei macchinari nel 2003.
Percorrendo le strade del Villaggio Crespi non si può rimanere indifferenti alla forza delle simmetrie e delle geometrie, tanto semplici quanto efficaci, che ci parlano di una fiducia smisurata nel lavoro e di un bisogno assoluto di ordine e rigore.
I volumi della fabbrica, le linee ordinate degli edifici, tutto ci riporta all’esistenza di un progetto estremamente controllato, ad una città che non nasce da una sedimentazione nel tempo di interventi slegati fra loro, bensì da una volontà estremamente razionale, da un desiderio di creazione quasi demiurgico.
Il culmine di questo pensiero totalitario è perfettamente rappresentato dalla Villa Crespi, la cui enorme mole si staglia su tutto il villaggio come un castello medievale, e il cui proprietario, come un antico feudatario, è depositario del diritto di vita e di morte dei propri sudditi.
Oltre allo stile Neo Medievale della Villa Crespi, nel Villaggio si possono osservare diversi stili architettonici, dal Neogotico Lombardo della fabbrica a quello Eclettico del Mausoleo della famiglia Crespi (progettato dall’Arch. Gaetano Moretti, autore anche della vicina Centrale Idroelettrica Taccani), dalle villette operaie in stile inglese, con spazio verde dedicato ad orto, fino allo stile rinascimentale della Chiesa che il Crespi fece costruire come perfetta copia del Santuario di Santa Maria in Piazza di Busto Arsizio.
Oggi il Villaggio Crespi è un posto che pare sospeso nel tempo, ma tuttavia è ancora sede di una piccola comunità, costituita in gran parte dai figli e nipoti dei primi operai che vi hanno vissuto e lavorato.
Passeggiando per le vie semideserte, a volte sembra quasi di sentirne ancora le voci, di udire il rumore dei passi veloci e leggeri di tutte quelle persone umili e operose che vivevano e lavoravano all’interno di questa utopia, di questo piccolo mondo a misura d’uomo.
Un mondo unico e singolare, dove anche la fabbrica e gli edifici produttivi erano pensati e realizzati come se fossero delle cattedrali, come se dovessero durare in eterno.Tutto è speciale a Crespi, la cura dei particolari, l’amore per i dettagli e per il lavoro “ad opera d’arte”, gli eleganti giochi cromatici realizzati con i diversi materiali, dal cotto delle decorazioni al ferro battuto dei cancelli e delle recinzioni, fino al Ceppo dell’Adda del mausoleo e ai rosoni in cotto incastonati come stelle marine, tra le lesene sui muri della fabbrica.
A distanza di più di un secolo si può dire che forse il progetto è fallito per colpa di eventi imprevisti o per errori umani, che forse non era quella la soluzione migliore ai grandi problemi che l’industrializzazione ci avrebbe posto, ma una cosa è certa: Crespi D’adda è un luogo dove ancora oggi risiede la bellezza, e dove il paesaggio dialoga con l’ambiente costruito.
È un ambiente produttivo che si esprime come un fatto culturale, dove il Genius Loci è presente e vitale, al contrario delle moderne zone industriali, dove il paesaggio è violentato da volgari edifici costruiti senza identità, senza cultura e senza attenzione.
Perché forse questo è lo scopo del progetto, dell’attenzione al più piccolo dettaglio, della ricerca del bello e dell’armonia, anche in situazioni produttive come questa.
Forse lo scopo è proprio quello di esistere e durare per l’eternità, perché la vera bellezza suggerisce il rispetto, non solo dell’uomo, ma anche del paesaggio che la contiene.
Ivan Scotti